E dovevano essere tre giorni senza pensieri...

Londra Babbana - metà luglio

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    FELIX FELICIS
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    ISABELLA   VIRGINIA   MAIR  
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    Ok che eravamo a metà luglio, ma possibile che facesse così tanto caldo?!
    Per Dio era Londra, mica Roma!
    Ci saranno stati 35 gradi, percepiti 87, vi pare normale?
    Dov’era quel meraviglioso clima inglese per cui pioveva un momento sì e l’altro pure? Per cui le nuvole viaggiavano così veloci che dovevi avere sempre un ombrello dietro? Dio che fastidio…. L’umidità, il sudore, il sentirsi la pelle appiccicata contro gli abiti…
    Quella sensazione la amavo solo durante il sesso. Ma in quel caso poi i vestiti li togli!
    Comunque, ho già detto che ero infastidita? No? Peccato.
    Tre giorni dopo sarei dovuta partire per Lima, con una passaporta programmata, ma mi trovavo nella zona babbana della capitale per fare un favore a mio zio: controllare il nuovo inquilino dell’attico nella zona residenziale di Mayfair.
    Mio zio era fuori continente per la chiusura di un contratto e mi aveva chiesto di andare a dare un’occhiata. Certo aveva pagato in anticipo e pareva un tipo affidabile, ma era sempre meglio guardare negli occhi colui o colei che prendevano possesso di una tua proprietà per qualche mese.
    Era strano che avesse scelto quell’appartamento: era uno dei più belli ma era estremamente costoso e neanche arredato come alcuni dei meno cari. Era più semplice, senza fronzoli, di un’eleganza quasi minimale. Ma, ammisi, era il mio preferito: la grande vetrata che percorreva tutta la zona giorno vinceva su qualsiasi altro luogo. Quella ed il camino di mattoni perfettamente inserito nel contesto. Eh si… era un gioiello: caro come il fuoco ma un gioiello.
    Quel pomeriggio, erano da poco passate le 3pm, indossavo una tenuta semplice, relativamente banale, mentre ai piedi portavo un paio di Jimmy Choo che avevano fatto girare diverse donne mentre passeggiavo verso la mia meta. Una maxi bag a spalla chiudeva il look.
    I capelli ramati erano legati in una coda alta, mossi, perché quel caldo torrido mi impediva di tenerli sciolti. Un trucco leggero e una collana con una V stilizzata in oro bianco mi rendevano la classica professionista londinese senza tempo da perdere. Avevo scelto un occhiale neutro ma abbastanza leggero da far uscire gli occhi chiari, così che il sole potesse screziarli rendendoli più profondi.
    Mi ero smaterializzata a Diagon Alley, ma una volta uscita nella zona babbana avevo preso un taxi. Avevo tempo e, in realtà, mio zio aveva mandato una mail dicendo che sarei passata nel pomeriggio ma senza dare un orario preciso. Non che mi piacesse tenere in sospeso le persone, ma il cliente aveva risposto che sarebbero rimasto a casa senza problemi.
    Mentre l’auto nera scorreva nelle vie relativamente vuote di Londra, approfittai per mandare un paio di mail ai miei contatti in Perù, per poi cercare online qualche possibile luogo per una decina di giorni di relax. Scorrevo le immagini con donne bellissime e uomini abbronzati, o gruppi di amici in campeggio, o famiglie sorridenti che giocavano. Un piccolo ghigno mi increspò il viso.
    Poi una pubblicità mi colpì: “Scoprire i Nativi Americani”.
    Cliccai il link e mi si aprii una pagina curiosamente poco commerciale. Sembrava davvero un’opportunità intrigante, semplice e piena di natura e storia. Una settimana in mezzo alla natura e alla cultura di un gruppo di Indiani d’America, alla scoperta delle loro tradizioni e dei lori luoghi sacri.
    Salvai tra i preferiti il sito e chiusi la App.
    Il taxi era provvisto di aria condizionata e mi permetteva di non boccheggiare.
    Eravamo fermi in coda quando notai qualcosa nel cielo, mi sporsi appena e vidi che sopraggiungevano rapide delle nuvole da nord. Prima di sera avrebbe rinfrescato. Ghignai. Alleluia!
    Quando la donna alla guida si fermò pagai con la carta e scesi con un saluto gentile.
    Il palazzo era semplicemente incantevole: un semplice quattro piani in stile elegante, con tanto verde intorno.
    L’intero stabile era di nostra proprietà: il piano terra era in affitto da anni ad una coppia anziana di una dolcezza infinita, il terzo ed il quarto avevano invece coinquilini saltuari. In questo momento solo l’attico era impegnato. Mentre, al secondo livello, vi era un open space di circa 60mq che fungeva da mia base a Londra. Durante l’inverno capitava che lo affittassi, ma in estate cercavo di tenerlo sempre libero. In effetti avevo chiesto agli elfi di spedire un paio di valige direttamente lì.
    Il portiere mi aprì la porta appena toccai i primi scalini.
    Miss Mair, che piacere rivederla! Come sta?

    Sorrisi e mi avvicinai per un abbraccio educato.
    Signor Johnson, quanto tempo!
    Sto bene, sono passata a controllare il nuovo inquilino. Sa, mio zio è da qualche parte in giro per il mondo!
    E lei come se la passa?

    Oh io bene, sono diventato nonno! E suo zio è stato così caro da fare un presente alla piccola da tutti voi! Siete una famiglia meravigliosa.
    Salga pure, il signor Bennet è in casa. Sembra un tipo molto serio ed educato. Un americano.
    Lei si ferma?

    Sapevo della nuova arrivata, avevo partecipato volentieri, quell’uomo lo conoscevo da più di 35 anni!
    Oh bene, almeno sarà una cosa veloce.
    Mi fermo giusto qualche sera, poi ho il volo per il Sudamerica. Ho ancora qualche scavo da portare avanti.

    Per i miei contatti babbani ero una sorta di storica-archeologa. Che poi non era neanche lontanissimo dalla realtà.
    Johnson si rese disponibile per qualsiasi cosa e poi torno ala sua postazione mentre io prendevo l’ascensore.
    Mi guardai nel riflesso dello specchio e controllai di essere a posto. Con la bacchetta ravvivai il trucco e mi spruzzai qualche goccia di profumo da uomo. Odiavo le fragranze femminili. Dolciastre e piene di fiori.
    Quando le porte si aprirono, ticchettai per pochi passi fino ad essere davanti alla porta in legno chiaro.
    Bussai tre volte, ed un brivido dietro la nuca mi colpì improvviso.
    Lo scacciai velocemente.
    « L'attesa attenua le passioni mediocri e aumenta quelle più grandi. »


    Edited by ZiaVoldy - 1/2/2022, 14:30
     
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    CALEB   OOTA   BENNETT  
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    To CALEB from MARCUS: Ma dove diavolo sei finito? Niente rinnovo del contratto, conti chiusi e adesso anche gli Auror a controllare i MIEI conti!
    Che sta succedendo? Sono il tuo Manager, dannazione! Il tuo amico!
    Vedi di farti sentire, hai già mandato in fumo troppe opportunità.

    Ed io che pensavo che l'Inghilterra fosse grigia, umida e fredda!
    Ed invece, grazie a Merlino, quell'estate sembrava un'estate anche a Londra!
    Almeno avevo avuto la scusa perfetta per girare un po' per la Londra babbana, come un turista, in una solitudine che era per metà benedizione e per metà condanna.
    Sì, perchè dopo 22 anni in cui non ero mai veramente solo era stupendo potermi prendere i miei tempi, decidere che cosa fare, senza stare dietro a partite, allenamenti, ma anche sponsor, pubblicità, parate e interviste al grande campione...
    Ma nello stesso tempo era triste e quasi un po' patetico girare per la città visitando i musei e le bellezze di Londra completamente da solo, senza qualcuno con cui commentare i quadri come se fossimo dei veri esperti quando invece capivamo ben poco, o con cui immaginare le ultime ore di Maria la Sanguinaria, da sola, in quella torre, a rimuginare su tradimento e famiglia.
    Già il tradimento...
    Scacciai ed ignorai quei pensieri così come avevo ignorato i milioni di messaggi e chiamati con cui Marcus mi aveva assillato nelle ultime tre settimane.
    Lui non era stato l'unico... Solo il più insistente.
    Ma d'altronde, quando la gallina dalle uova d'oro scappa dal pollaio è normale che la si rivoglia indietro.
    Era stato il tradimento ad aprirmi gli occhi.
    Perchè tutti hanno un punto di rottura, anche i buoni come me.
    Ero entrato nel mondo del Quidditch professionistico con la sola voglia di giocare e divertirmi ed il mio migliore amico a "coprirmi le spalle"...
    Ma con gli anni da persona era diventato personaggio.
    Il mio migliore amico era diventato il mio manager, il mio babysitter.
    Mi avevano detto che erano i compromessi da fare quando diventi una celebrità, quando la tua vita non è più totalmente tua.
    E poteva anche andarmi bene, non sono ipocrita, ci avevo vissuto di rendita: tra i 25 e i 35 anni avevo passato un decennio da vero re.
    Donne, soldi, fama, tante conoscenze, regali...
    Tante persone di passaggio, volti dimenticati alle prime luci dell'alba, tanti autografi e biglietti regalati, perchè era così che funzionava il sistema.
    L'illusione che ad almeno qualcuno della mia "corte" interessasse qualcosa di Caleb e non del "Cacciatore più forte dell'ultimo secolo" era andata a scemare già negli ultimi anni.
    Le tante persone erano diventate quasi soffocanti, i volti spariti ancora prima dell'alba, gli autografi ed i biglietti l'unico motivo per starmi intorno...
    Avevo pian piano aperto gli occhi, perchè non ne potevo davvero più, io che volevo solo giocare a Quidditch, trovare una persona che sopportasse il mio lato romantico, e prendermi cura delle mia famiglia e dei miei veri amici.
    Ed in tutto questo tornando di follia, il mio unico punto fermo, la mia unica sicurezza era stata Marcus.
    O almeno così credevo.
    Era stata la mia gemella a mettermi la pulce nell'orecchio quando ero andato a casa per le vacanze di natale.
    Quel tarlo non era andato via, e nelle settimane successive avevo capito quanto mi fossi sbagliato sul mio amico.
    O forse lui era cambiato ed io no, perchè all'inizio eravamo davvero solo due ragazzini con la voglia di divertirsi...
    Passare i successivi sei mesi senza fargli capire che le cose sarebbero cambiate drasticamente era stato un esercizio in pazienza, ma dopotutto ero stato un personaggio per più di vent'anni, sei mesi in più facevano poca differenza.
    Giocare la mia ultima partita senza che nessuno sapesse nulla mi aveva lasciato l'amaro in bocca, ma era stato necessario.
    E poi il Cacciatore americano era scomparso dalla faccia della terra, e al suo posto era nato un insegnante (quasi) inglese.
    Una grande sfida l'insegnamento.
    Ma l'idea di essere circondato da ragazzi che amavano il Quidditch solo per il divertimento e la sfida era l'unica cosa che mi avrebbe dato un po' di pace e serenità.
    Un po' di me stesso.
    Settembre era però ancora lontano e perciò mi ero dovuto inventare più di un modo per far passare quelle giornate senza morire di noia.
    Fra un giro della città e l'altro però non avevo assolutamente perso la buona abitudine di allenarmi ogni giorno.
    E quell'amabilmente caldo pomeriggio mentre ero circa a metà allenamento e già sognavo la routine di tai chi e il successivo bagno nell'enorme jacuzzi che c'era nel pavimento della camera da letto, sentii bussare alla porta, per la prima volta dal mio arrivo a Londra.
    Mi irrigidii appena, mentre il sudore mi si ghiacciava sulla pelle facendomi rabbrividire, ma poi mi alzai, recuperai un asciugamano con cui mi asciugai un po' e che sistemai sulle spalle, attorno al collo, e poi andai alla porta.
    Potevo ignorare chiunque fosse dall'altra parte, fare finta di non esserci, ma non era proprio nella mia indole.
    Magari era solo il portiere, ed il sig. Johnson era da subito stato molto gentile con me.
    E se fosse stato qualcuno della mia vecchia vita, nascondersi non avrebbe avuto senso.
    Così aprii la porta con una tranquillità che in realtà non aveva e...
    Wow.
    Una bella, bellissima donna che si presenta d'improvviso alla tua porta...
    E' l'inizio di qualche libro o film anni 30, ne ero quasi sicuro.
    Buon pomeriggio, Miss.
    Posso aiutarla in qualche modo?

    Un sorriso accennato, ed il mio solito dannato accento americano.
    Io in pantaloni morbidi e canotta e lei vestita in modo comodo ma ricercato...
    Bella figura, genio.
    Ma tanto non l'avrei rivista più, no?
    Perchè preoccuparsi?
    « IF YOU COME TO FAME NOT UNDERSTANDING WHO YOU ARE, IT WILL DEFINE WHO YOU ARE »
     
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    Percepii il movimento dietro la porta e attesi che l’uscio venisse aperto, non sapendo bene cosa aspettarmi. Sapevo solo il nome di questo Signor Bennett. Ah giusto… era americano e educato. Mio zio non aveva detto nulla se non che aveva pagato in anticipo. Che fosse ricco era evidente. Quasi sicuramente babbano. Forse un grande manager o un personaggio da jet-set. Diciamo che mi aspettavo di conoscerlo, valutarne la serietà e sparire. Ero davvero solo una portavoce.
    Quando la porta venne schiusa, misi su un sorriso educato, che si congelò istantaneamente quando vidi chi era l’inquilino dell’appartamento.
    Solo anni di casata verde argento e frequentazioni di nobili famiglie magiche mi permisero di non collassare lì, su quel pianerottolo.
    Perché il semplice “Signor Bennett” era il fottutissimo Caleb Oota Bennett, miglior Cacciatore del mondo, se davate retta a me. Io, appassionata di Quidditch da sempre, giocatrice amatoriale, fan sfegatata, che non perdeva mai una coppa del mondo o un campionato maggiore, IO ero davanti ad uno dei più straordinari campioni dello sport più bello dell’universo.
    Il mio cervello mi permise di riprendere a respirare. Forse la sincope non era la migliore presentazione possibile. Gli occhi brillavano, ma mantenni il sorriso e grazie a Merlino evitai di arrossire. Sempre lui mi fece notare che se stava lì, nella Londra Babbana, probabilmente non voleva essere riconosciuto. Inoltre, sapevo dai giornali specialistici, che da un po’ sembrava essere evaporato nel nulla. Ed invece eccolo qui, a casa mia si potrebbe dire.
    Fu di un eleganza d’altri tempi. Quando la rotondità di quel Miss uscì con quell’inflessione americana, sentii un brivido lungo tutta la schiena.
    Signor Bennett buon pomeriggio, mi chiamo Isabella Mair e sono la nipote del suo padrone di casa.
    Solo allora realizzai davvero com’era vestito. Tenuta da allenamento, asciugamano intorno al collo.
    Cristo. Era bello da togliere il fiato.
    Intendiamoci: io non seguivo il Quidditch per i bei giocatori, era una cosa che non tolleravo da parte delle oche che frequentavano le tribune vip degli stadi. Ma Bennett era oltre. Inarrivabile, elegante, oggettivamente bellissimo. Quello che però risaltava su quel viso sudato erano gli occhi: profondi, gentili, umani. Così distanti da quelli che i fotografi catturavano sulle riviste. Erano quelli che mi sembrava di aver scorto mentre volava. Ma io guardavo la tecnica, la tattica, non i bicipiti. Per quanto quelli che mi si stavano parando davanti erano, come dire, notevoli. Per fortuna poi avevo i tacchi. Era alto, ben più di me. Pensai a quanto sarei stata bene appoggiata a quel torace tonico. Ehi! Sono una donna, mica una santa.
    Spero che Londra l’abbia accolta bene. Ha trovato dei giorni più caldi e soleggiati della media. E che la casa sia di suo gradimento… non dovrei dirlo ma è la mia preferita.
    Feci un piccolo ghignetto divertito.
    Perché non dissi nulla sul fatto che l’avessi riconosciuto?
    Non lo so. Forse per rispetto o semplicemente perché mi dava l’impressione di essere così rilassato da non volerlo farlo tornare sulla difensiva per l’ennesima fan da tenere a bada.
    Non riuscivo però a staccare gli occhi dai suoi. Gli occhi, lo giuro.
    Certo avevo ammirato il fisico scultoreo, ma giusto per pochi istanti. Avevo però registrato il tatuaggio sul braccio. Sapevo che l’aveva, l’avevo notato alla fine di una partita dei suoi primi anni. Ero in giro per lavoro e con dei colleghi eravamo andati a vedere una partita di un campionato di buon livello, per staccare la testa. A fine partita aveva tolto le protezioni e spostando la maglia avevo intravisto il disegno. Ma ero lontana, non avevo potuto coglierne i dettagli. Mi sovvenne alla mente che, alla fine di quella sfida, tornando verso il nostro campo, e nonostante la squadra di Bennett avesse perso, io avevo detto Uno dei tre Cacciatori ha del talento vero. Secondo me farà strada, ed ovviamente avevo avuto ragione.
    Se fuori apparivo come una donna d’affari professionale e gentile, dentro avevo il cuore che batteva all’inverosimile. Ero davvero emozionata di avere davanti un campione simile. Non avevo idea però di tutto ciò che concerneva la sua vita fuori dal campo. Odiavo i pettegolezzi fatti sulle celebrità e a meno che non capitasse una rivista di moda in cui c’era qualche foto o articolo, non avevo mai cercato informazioni su di lui che non fossero legate allo sport. Sì, una nerd del Quidditch e delle Antiche Rune.
    Feci scivolare la mano nella borsa e ne estrassi un piccolo biglietto da visita. Era adatto sia ai babbani che hai maghi, perché solo a questi ultimi sarebbe apparso anche il numero di telefono magico. Certo avrebbe capito che, probabilmente, l’avevo riconosciuto, ma sperai che il mio aver fatto finta di nulla non l’offendesse.
    Per qualsiasi cosa, mi chiami.
    Portai un’esistente ciocca di capelli dietro l’orecchio e per un istante ebbi il desiderio di invitarlo ad uscire. Era un bell’uomo, perché no? Eppure evitai… non sapevo perché ma mi stavo frenando, dopotutto sarei dovuta partire a breve e mi ero ripromessa di non passare tutte le sere da sola in città… però…
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